martedì 7 marzo 2006

Sabato 9 luglio.2005 ovvero una sera con Francesco Baccini.


Eccolo là!Il Vaticano!Messer il Cupolone.La candida papalina calzata a viva forza su quella zucca enorme sormontata da una croce. Più guardo quella croce e più penso a chi, per giorni e giorni voleva inchiodarmi proprio lì.Chi?No! Non ve lo dico per tutto l’oro del mondo. Se no va a finire che con quella persona ci litigo di brutto. Immagino soltanto i suoi brontolii sordi all’indirizzo di questa “canaglia” che viaggia lontano.Silenzio a bordo. Accendo il lettore dei CD e, curioso destino, s’inserisce “In fuga”.Ronfa dolce il motore, cucendo ad uno ad uno mozziconi di pensieri increspati di una rabbia repressa che cerco di calcificare dentro di me. Grumi di presente in progressivo avvicinamento.Venite pure avanti, amici miei.Prego! Slacciate le cinture! Ci siamo.Superato il GRA, con qualche attenzione in più del dovuto, la macchina vira di 90°, puntando il naso arrotondato ed argenteo verso la Magliana, che s’annuncia, con i suoi palazzoni giganteschi e tutti uguali, in frantumi di luce riverberante; entro in un budello gremito di gente che attraversa la strada senza badare alle macchine che sopraggiungono. E’ uno dei pochi casi in Italia dove i pedoni si sentono padroni e, forse, vogliono apparire come tali, visto i loro atteggiamenti sfrontati, le braccia tatuate, l’incedere bullesco. Borgata era e borgata rimane, nonostante gli evidenti sforzi politici-amministrativi per sollevarla dal torpore culturale e dal degrado ambientale. Perciò il festival De Andrè e una piazza intitolata a lui. Ma la piazza non c’è, non esiste. C’è solo una lunga striscia di bitume che lambisce le alte case in mattoncini beige, separata da uno spartitraffico rialzato dall’asse stradale. Lì sopra hanno trovato sistemazione dei gazebo di tela plastificata bianca, diverse panchine con seduta in acciaio traforato e numerosi alberelli che stentano a crescere vinti dal cemento che li circonda. Tutto intorno, un odore acre, stordente, proveniente dalle molteplici pizzerie, rosticcerie, stuzzicherei o come dir si voglia, che qui s’affacciano. Ma la piazza?Sono sul punto di chiedere informazioni quando sento la voce inconfondibile di Francesco che canta, taratatà, tarallalleru, dalla ballata dell’amore cieco di Faber. Azz. poco prima l’avevo ascoltata sullo stereo, vuoi mettere che si sia reinserita? Ma no, il lettore è spento. E allora da dove viene la voce?Dopo un’eternità, finalmente realizzo e mi dò dello stupido: i gazebo, la musica amplificata arriva da lì. Trovo un parcheggio proprio sulla pensilina e a lunghe falcate mi avvicino all’area dove sono sistemate quelle bianche capanne. Il display del telefonino segna l’ora: 18,15. Ci vuole poco per mettere a fuoco che si tratta delle prove. E, infatti, Francesco è sul palco, seduto dietro ad un pianofortino nero che si fregia anche di una mezza coda. Indossa un inedito completo beige, che fa pendant con il nuance delle case, la solita camicia bianca con i polsini che gli coprono le mani quasi come guanti svolazzanti, occhialoni neri e una voglia di fare musica che traspare da ogni suo gesto. Intorno a lui un brulicare di persone: attrezzisti, fonici, datori di luce, il road manager che vaga di qua e di la e non si capisce dove va e cosa fa, Luca Volontè che prova il suo minuscolo sax, sembra un giocattolo ma emette suoni strepitosi e Alex Lunati, riccioluto tastierista, abituato a suonare diametralmente tra il Keiboards e il piano. Trio Baccini questa sera. Le prove finiscono in fretta e Francesco sparisce dietro il palco. L’attesa sarà lunga. Mi siedo su un muretto al riparo dal sole cocente che illumina la platea. Un gatto nero con una macchia bianca sulla fronte, coda ritta e corpo arcuato, mi saluta, miagolando tutta la sua disapprovazione perché gli ho interrotto il percorso. “Ehi là, Frator, già qui?”. Alzo la testa e con sorpresa vedo Francesco che sta passando accanto a me.“Dove vai?” domando, come se fossimo vecchi amici.“Vado in albergo a cambiarmi, ci vediamo dopo” e con il suo inconfondibile deambulare tutto storto, si fa inghiottire dalla folla. Cambiarsi? Questa poi………..scommetto con me stesso che manterrà lo stesso vestito.Frattanto, una brezza sottile, messaggera dell’astro che sta per salire in cielo, s’infratta tra gli alberelli, anima le cose e rende più respirabile l’aria.Mi riavvicino alla platea che è già meno deserta rispetto a prima. Mi guardo attorno. Le prime tre file di sedie presentano un minaccioso cartellino con su scritto, “riservato”: chissà quali nobili deretani siederanno su quegli scranni. Ma…Cos’è? Indistinto ai limiti della percezione, un parlottio soffuso fa di tutto perché io riaffiori dal gorgo della memoria.Orecchie tese, lunghe, da marziano. Sento parole, modi di dire consueti. Mi avvicino. Sono tre donne e un uomo. Mi siedo quasi accanto a loro e sento che parlano di Crazy, della Fatina, di Vince. Non ho più dubbi e ci mancherebbe.“Voi siete topolarde” esordisco. Ridono, un riso tridimensionale: dissacratorio, ironico e sincero. Ci materializziamo. Ecco la Jazz dal sorriso malizioso e lo sguardo intelligente; Dina e il marito a “distanza” che tanto la critica quando lei sta nel Forum e poi l’accompagna, con animo predisposto, al concerto del “suo” Baccini; Gino, che di maschio ha soltanto il nikname e il taglio di capelli corti, mentre tutto il resto…è un bel vedere. Ci raccontiamo le nostre vite da Forum tra una risata e l’altra, tra un morso di pizza e un sorso d’acqua minerale ( alla Magliana, quando si chiede una bottiglia d’acqua, bisogna specificare se si vuole minerale o naturale, cioè dal rubinetto). Intanto sopraggiunge Donabrava, tutto attaccato e con una enne sola, come s’usava nel tardo medioevo, dalla voce flessuosa e suadente, quasi un soffio.Il palco comincia a riempirsi e così la platea. Ecco si comincia. Ventidue ottoni e un tamburo della banda del Testaccio diffondono le loro pesanti note bandistiche. E’ tutto un susseguirsi di bu,bu,bu, puf, puf, puf. Tu pas, tu las, tu kas…Nel mentre che questi suonano, arrivano altre topolarde, Budy, la Valentina con cotanto di sorellina (tanto per far rima), che comunicano la disponibilità di Francesco ad incontrarci e a consegnarci lo striscione per apporre le nostre firme.Le nostre donne si alzano di scatto, come colpite da un fulmine a ciel sereno e ci dicono di conservare i posti, impegno, questo, che si rivelerà in seguito molto difficile visto le numerose richieste, alcune dolci altre salate, altre ancora irriverenti. Quando arrivano dall’incontro con Francesco, mi dicono:”vai tu, adesso, così firmi lo striscione e lo porti sotto il palco”. Entrare nel backstage non è facile ma con un po’ di cortesia e di faccia di tolla ci riesco. Francesco quando mi vede si brasa. “Beh!” mi dice, stupito. “Sono venuto a firmare lo striscione”, ribatto, ma ho già il presentimento che qualcosa non quadra. Infatti. “Lo hanno portato via, proprio ora, le ragazzotte, non le hai viste?” Era inutile dirgli che sì le avevo viste ma non c’eravamo detti niente. Lui era già nella fase di concentrazione…Un abbraccio, un buffetto e un bocca in c. della balena.I cantanti si succedono sul palco:, Susanna Parigi, Massimo Cotto e Cesare G. Romana, Fabrizio de Rossi Re e Edoardo Albinati, Nicky Nicolai e i vincitori dei premi De Andrè, guardati con trepidazione da Dory Grezzi che siede in prima fila. Sembra che gli anni e i dolori non abbiamo infierito sulla sua immagine di donna impalpabile: i soliti capelli biondi con frangetta e il visino dolce e sereno. Gli organizzatori del premio hanno saputo confezionare uno spettacolo gradevole, dove si nota l’impegno di tutti e la buona volontà della presentatrice che, dal suo vocabolario personale, tira fuori un unico aggettivo: Bello. Lo dice così tante volte da accorgersi di esagerare e questo è bello, ah,ah,ah. Ma noi non siamo lì per loro. In questo momento mi sento come un bambino che gli negano la nutella.Finalmente giunge il benedetto momento. La presentatrice annuncia Francesco, poi qualcuno le sussurra di prendere altro tempo e lei comincia a divagare perdendosi in un inutile e stucchevole afflato di parole.Lui spunta dall’alto o almeno è quello che vediamo noi. Ho vinto la mia scommessa personale: ha lo stesso vestito delle prove.Arabeschi di sogno. Magia. E noi in silenzio. Un tacere, stupito, riverente. Da innamorati sognanti.Ed inizia il concerto che lui definisce subito “miniconcerto”, con quella modestia che non l’abbandona mai. Le topolardine espongono lo striscione: “Re dei topolardi di quotiamo”, mentre altre cominciano a trafficare con i telefonini per trasmettere le canzoni di Francesco in diretta.Ho voglia d’innamorarmi, sussurrato, gridato, esploso nelle teste di tutti.“Fascino, perggiuda, quest’uomo ha fascino da impazzire”, mi dice una corpulenta signora romana con tanto di telecamera vecchio tipo e di bambino irrequieto, che con i suoi calci tormenta le mie ginocchia.“Da vendere, signora, da vendere” le urlo.Si apre la cascata di canzoni ed è tutto un susseguirsi di emozioni, di arcobaleni fosforescenti:Genova Blues, accompagnato da Luca Volontè che suona l’armonica e ci mette i brividi addosso; Mani di forbice, un incanto poetico; Fotomodelle, dal ritmo tiratissimo e scanzonato; La ballata dell’amore cieco, primo omaggio al suo mito-amico e qui cade il silenzio. Sembra che tutto si fermi. Gli occhi si fanno lucidi e anche Jazz che può apparire eterea, ha un cedimento: Il busto in avanti, il volto contratto, la mano un po’ tremante. Signori della corte, che lo vogliate o meno, questo è Baccini: una fabbrica a ciclo continuo dove si costruiscono emozioni.Intanto arriva Vince, lo spiazzatore. Ne abbiamo tanto parlato che lui alla fine ha deciso di materializzarsi. Lo troviamo un po’ spaesato, insospettabilmente timido, ritroso. Si piazza sotto il palco dietro alle ragazze,ci mancherebbe altro sennò sarebbe un’altra persona, e Francesco ha anche il tempo di notare il suo imbarazzo: con un cenno della mano lo incoraggia e lui sembra sbloccarsi.La scaletta, completamente nuova rispetto alle altre, si dispiega ancora. “In Fuga”, che gravita intorno alle note con toni e colori seducenti e sconvolgenti; Le donne di Modena, cantata da tutti ed è come sentire un coro del Nabucco dal ritmo allegro; Giugno 73, secondo e ultimo omaggio a F. De Andrè) la preferita di Francesco.Ecco è finito lo spettacolo, ma la gente è ingorda di canzoni e lo chiama a gran voce. Lui, con il suo fare dinoccolato, lo sguardo stranito, le braccia ciondolanti, si presenta sul proscenio e attacca, in piedi davanti al pianoforte, Sotto questo sole. Questo è jazz, mi dico. Le note sono scatenate, perfette nel loro dispiegarsi e Francesco si dimostra un pianista dalla tecnica raffinata, alla faccia di qualche critico musicale che parla di una sua poca applicazione allo strumento.E’ stato uno spettacolo diverso da quello di Torino (il primo concerto dal vivo al quale ho assistito). Là, Francesco, era la guest star, qui era l’ospite tra gli ospiti anche se quello con il maggiore prestigio e classe ed ha saputo imbastire un’esibizione raffinata, una specie di concerto da camera, un insieme di swing e poesia: il massimo.Tutti al backstage, tutti dietro al palco a salutare Francesco.Strada facendo si scoprono altri navigatori del Forum: Aalto e il suo doppio, il coureur de femmes, cioè il donnaiolo che forse sarà il nick della moglie, anch’ella presente. Dubbio amletico. Poi c’è Sancrico dal volto pacioso e solare che mi aggiorna su alcune eccellenti defezioni.Il road manager di Baccini, si fa prendere la mano dall’imperante burocrazia ministeriale romana e decide che cinque persone alla volta posso entrare a salutare Francesco. Prima le donne i bambini e poi i grandicelli.“Beh, e alura, ti è piaciuto?” esordisce il Fra quando mi trovo al suo cospetto. Gli dico quello che ho sopra scritto e lui concorda.Lo saluto, dandogli un fraterno abbraccio. Lui si ritrae. “Che te ne vai di già? Aspietta nu mumientu, che dopo la cena con la Dori si va a fare un giretto al Pantheon”.Lo guardo con ironia. “Ho un Pantheon a casa….!”Lui capisce a chi mi riferisco e se la ride di gusto..Ho vissuto un sogno ad occhi aperti in questa calda serata romana d’inizio estate sulle ali di quell’atmosfera magica, che grida da ogni cantone il suo gioioso richiamo, ed io ricorro a Trilussa che dice: “C’è un ape che se posa/ su un bottone de rosa/ Io succhio e se ne va…/Tutto sommato la felicità/ è una piccola cosa”.

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