martedì 27 gennaio 2009

Note d'autore.


Occhi abbassati o chiusi significano abbandono e li hanno solo i vinti. Li si può contare con estrema precisione sulle dita di una mano e di una mano non sono necessariamente immobili.
Possono girare tra la folla e non vedere niente.
Ad un occhio carnale niente li distingue dai corpi che ancora si accaniscono. Questi riconoscendoli, li lasciano passare...
Possono strisciare nelle gallerie andando a tastoni in cerca di niente.
Ma di solito l'abbandono li impietrisce, sia nel movimento che nel gesto.

Samuel Beckett - "lo Spopolatore"- 1970.

martedì 20 gennaio 2009

Lettere d'autore


Fino a due settimane fa suonavo ogni giorno il violino.
Poi vennero i nuovi penseri, niente di grave, pure questioni d'affari che non vanno, e lasciai anche quello.

Oggi andai a vederlo. Approfittò del riposo per liberarsi di tutte le quattro corde, grattato a sangue. Niente di più triste che uno strumento a corde privo di corde.
Il cadavere di un animale, pur tanto triste, è più completo e vitale. E poi c'è la tristezza che le corde nuove si trovano a parecchi chilometri da qui e che bisogna andarle a prendere attraverso un mare di fango.
Mi deciderò questa sera.


Italo Svevo (lettera alla figlia,15,12,1915)

giovedì 15 gennaio 2009

Avverbio di qualità





Sono stati pubblicati i risultati di un recente sondaggio commissionato dalla FAO rivolto ai governi di tutto il mondo.
La domanda era:

"Dite onestamente qual è la vostra opinione sulla scarsità di alimenti nel resto del mondo".

gli europei non hanno capito cosa fosse la scarsità;

gli africani non sapevano cosa fossero gli alimenti;

gli americani hanno chiesto il significato di resto del mondo;

i cinesi hanno chiesto maggiori delucidazioni sul significato di opinione;

il governo italiano sta ancora discutendo su cosa possa significare l'avverbio onestamente.

mercoledì 14 gennaio 2009

L'amore ai tempi di MySpace



Nina sapeva per esperienza che quando suo marito diceva che avrebbe lavorato fino a tardi, raramente spegneva il computer prima di mezzanotte. Lei, naturalmente, aveva accettato da tempo che non fosse plausibile che lavorasse effettivamente fino a così tardi. Le altre persone di questo mondo dovevano avere per forza una loro vita da vivere la sera, anche se lui non l’aveva. Giorno dopo giorno, notte dopo notte, che fuori piovesse o nevicasse per lui non aveva importanza. Lui era lì davanti a quello specchio luminescente a rimirare i colori e a levigarsi i polpastrelli a forza di digitare sulla tastiera. Il resto del tempo? Beh, che razza di cornice per un matrimonio poteva costruire una moglie intorno al fatto centrale che suo marito passava parte delle giornate a frugare nei segreti altrui, soprattutto in quelli di donne in cerca di nuove suggestioni? Quando lasciava quella sua occupazione preferita i suoi occhi brillavano come la volta stellata in una notte serena. Nina aveva imparato a non insistere con lui, a non andare dietro alle sue visioni oniriche. La moglie di un metalmeccanico aveva quel diritto. Lei no. Lei aveva sposato un poeta e i poeti devono essere lasciati in pace affinché possano liberare e far viaggiare le loro emozioni anche, se come lei era indotta a pensare, quella era piuttosto una fuga dalle responsabilità del quotidiano che una ragione di lirismo.
Quella notte, aspettando sveglia il marito, era andata a letto presto e stava leggendo un romanzo di Isabel Allende, la sua autrice preferita fin dai tempi del liceo. I suoi occhi si soffermarono su una frase: “Il seguito lo conosci già, perché lo abbiamo vissuto insieme”. La rilesse ancora. Era molto dubbiosa sul seguito. Per lei c’era solo il presente fatto di poco e il passato era ormai un soffuso ricordo.
Mentre sottolineava con una matita rossa questa frase, un’abitudine presa sui banchi di scuola e mai lasciata, Nina sentì la porta dello studio di suo marito aprirsi con quel caratteristico rumore di matasse di ferro strusciate l’una sull’altra. “Fra?”
“Ehilalà”.
Ubriaco di MySpace decise Nina, anche se lui era dall’altra parte della casa, all’inizio del lungo corridoio che portava nella zona notte. Lo sentì inciampare nel buio, levarsi alto un “ma che cazzo” e poi il forte sciacquio della doccia a fianco della camera matrimoniale. Aveva avuto sicuramente una giornata impegnativa che perfino lui sapeva di avere bisogno di togliersi di dosso l’aroma amaro delle sue parole e quelle degli altri o delle altre.
Dieci minuti dopo apparve nudo sulla soglia della camera da letto, la sua figura massiccia aveva un colorito beige pallido, con i peli chiari del corpo che gli davano un aspetto glassato da colazione mattutina con il frappè.
“Buona sera Ninotchka
”. Quando la chiamava così, alla Greta Garbo, i suoi pensieri erano improntati sull’esotico.
“Hai fatto presto” disse Nina, mettendo da parte quello che stava leggendo.
Guardò un polso privo di orologio “Undici e un quarto” vi lesse.
“Stai bene?
“Sto da Dio,Ninotchka.

Nina lo guardò avanzare lentamente, incerto. Aveva intenzione di fare del sesso. Adesso stava in piedi di fianco a lei.
“Hai un aspetto davvero appetitoso, Ninotchka
”.
Lei lo guardò sorpresa come si guarda un fantasma che si materializza mentre già si lasciava scivolare sulle ginocchia.
“Buona abbastanza da mangiare”, biascicò, cercando di raggiungere con una mano il suo seno.
Nina cominciò a ridacchiare e spense la luce, non prima di pensare che navigare su MySpace fa bene alla salute.
Frator, 2009
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