lunedì 6 marzo 2006

Lisbona


In una giornata uggiosa, che invitava a starsene chiusi in casa, sfogliando pigramente tra le mie vecchie carte ho trovato dei fogli ingialliti, pagine di un diario del 1973, dove un ricordo seppellito nella memoria è riemerso.
Lisbona.
Mi era svegliato alle 10:30, riposato, nella mia piccola camera della pensione Säo Sebastiäo, nell’omonimo quartiere di Lisbona. Un luminoso raggio di sole era venuto a svegliarmi filtrando dalle imposte della finestra fino sui miei occhi. Era, in effetti, la mia prima giornata intera nella citta' in cui aveva deciso di trascorrere, da solo, le vacanze estive.. Ero arrivato nella capitale dei lusitani dopo un faticoso e avventuroso viaggio con la mia 850 spider rossa, nuova fiammante. Dopo aver fatto una doccia calda ed essermi vestito leggero, con pantaloncini corti ed una maglietta sportiva, munito del mio inseparabile zainetto e degli occhiali da sole, percorrevo il corridoio all'interno della pensione; lo sguardo era subito precipitato sulla stanzetta che, un anno prima, avevo occupato con una compagna di studi, ed era rimasta aperta in attesa delle pulizie del mattino. Rimanevo in piedi a ricordarmi quando l’estate precedente, ad ogni risveglio, incominciavamo a raccontarci un po' di cose, a girare attorno a dubbi e sensazioni. Erano le prime mattine in cui mi si stavo innamorando di colei che di li a poco avrei definito "la mia picinina". Proprio per quello aveva deciso di tornare a Lisbona nella stessa pensione dove avevo davvero imparato a conoscerla, forse per esorcizzare la troppa malinconia degli ultimi mesi, forse per un inconsapevole e masochistico desiderio di tristezza, ma, qualunque fosse il motivo, adesso ero lì a pensare a lei, in un modo così reale come non mi capitava da tanto. Percorrevo l’insidiosa scala a chiocciola che dal secondo piano dell'edificio portava al piano terra, con calma, con la testa piena di ricordi dolci e pungenti e, arrivato in strada avevo deciso di fare colazione nel caffe' letterario dietro l'angolo. Qui avevo consumato l'ultima colazione di quella fatidica estate sui colli di Lisbona in compagnia di lei e di un fantastico dolce con la cioccolata calda che lo ricopriva e, in quel momento, un anno dopo, ero subito pervaso da una sensazione di solitudine e di tristezza, nella quale, e forse il particolare puo' risultare grottesco, ci ero finito per mia volonta'. Avevo sempre identificato ogni citta' che visitavo con un odore caratteristico, ma nel caso di Lisbona avevo fatto un'eccezione, e l'avevo assimilata con il profumo di lei, quel "profumo di Lidia" che sostenevo essere il piu' bel profumo del mondo, l'ideale culla delle mie sensazioni olfattive. Percorrendo l'Avenida de Libertade fino a raggiungere Praça dos Restauradores, avevo deciso di prendere il tram n.28, il piu' caratteristico di tutti, che portava nei vicoletti dell'Alfama, insinuandosi nel cuore della vecchia e riposata citta'. Non c'era traccia del "profumo di Lidia", ma soltanto odore di pesce alla brace, e non c'erano i suoi sguardi nel piccolo parco situato nella curva panoramica del vecchio quartiere, dove i nostri affanni amorosi raggiungevano l’apoteosi. Rimasi parecchio tempo ad osservare la citta' dall'alto, e, ad ogni piccolo ricordo, chiudevo gli occhi e sorridevo, forse risultando un po' strambo ai passanti, ma quella era l'unica cosa che mi veniva da fare quando immaginavo l'incontro tra quei raggi di sole e l'oro dei capelli di Lidia e ogni tanto sorridevo, e davo calci alla malinconia. La giornata era passata così e, al ritorno in pensione, decisi di riposarmi un po' per poi recarmi a fare un giro al Bairro alto, il posto di Lisbona che piu' si avvicinava al fermento del centro storico di Genova, la citta' di Lidia. Appena sceso in strada avevo subito riconosciuto la brezza che solitamente veniva a trovare la citta' nelle notti d'estate, e, quasi rinfrancato da quella freschezza e dall'aver indossato un maglione di filo canticchiai un vecchio fado di Amalia Rodrigez, la canzone che aveva contribuito a legarci. La serata passava innocua tra un giro per le vie del bairro alto, rumori di passi, vociare della gente e qualche foto di scorci particolari. Era quasi la mezzanotte del 2 agosto, e mi trovavo in quella piccola birreria con una cerveza in mano, nell'esatto punto in cui, la mezzanotte e un secondo di un anno prima le avevo augurato buon onomastico.Avevo posato il bicchiere vuoto sul bancone, chiuso gli occhi, accennato un sorriso, e in testa mia le avevo appena detto:"Auguri picinina mia". Domani, sabato, era non solo il suo onomastico ma il giorno del suo matrimonio. Fuori, la brezza d'agosto di Lisbona accompagnava il mio amaro sorriso.

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