
Platone, Fedro, 275.
Al di là dei diversi pareri che questa discussione di Platone può suscitare, le battute finali di questo celebre dialogo platonico pongono in essere un problema che assilla l’umanità da millenni e a cui non si è ancora saputo dare una risposta definitiva. Platone ricorda in questo passo il mito di Thot, il grande dio inventore dei numeri del calcolo, della geometria, dell'astronomia e del gioco dei dadi e (ultimo nell'elenco socratico) delle lettere dell'alfabeto. Questa discussione platoniana è la risposta che il faraone Thamos dà al dio quando questi gli presenta la sua invenzione. Il problema prontamente individuato da Platone attraverso le parole di Thamos non fa tanto riferimento alla nuova invenzione, la scrittura appunto, ma alla minaccia che la sua comparsa avrebbe comportato: non la conservazione ma la cancellazione della memoria.
Memorizzare dati costituiva questione fondamentale già nell'antichità quando le culture erano ancora orali e in parte la poesia, o meglio la tecnica epica, ne costituì a suo modo una parziale soluzione. Ciò che a tutta prima si può osservare è che ogni epoca ha trovato una risposta al problema della memorizzazione dei dati modificando il supporto su cui questi venivano conservati in relazione alla tecnologia presente in quel momento. Il primo supporto di memorizzazione dati fu con tutta evidenza l'uomo stesso attraverso due sistemi: vocale e mnemonico il primo, complementare e di supporto al secondo. Le prime soluzioni al problema della memorizzazione furono probabilmente sia grafiche (come dovrebbe chiarire intuitivamente la storia della scrittura egizia) sia, per il supporto orale, poetiche, ma furono anche suoni, rumori, incisioni, disegni ecc. Furono insomma a loro modo soluzioni multimediali. Nell’epoca in cui la scrittura divenne il maggior mezzo di informazione, le tecniche relative per la sua memorizzazione passarono attraverso la pietra, la terracotta, i papiri, le pergamene gli incunaboli, via via fino ad arrivare al libro. Accanto a queste vi erano ci si aggiunsero altre tecniche, sempre legate al medium comunicatiio: la pittura la fotografia, il film, le registrazioni sonore in analogico, le registrazioni digitali su supporti differenziati ecc.: tutte tecniche che per noi poi sono diventate e sono state chiamate arti. Oggi esse vengono riunite sotto il nome di multimedia, per certi aspetti ipotizzabile come una forma economica della memorizzazione. Dunque l'antenato del moderno hard disk, per non parlare dei dischi ottici e dei DVD è direttamente il libro e, in origine, la scrittura stessa. Tuttavia anche questi strumenti, dischi riscrivibili e o leggibili, hanno, mutatis mutandis, gli stessi problemi di manutenzione e conservazione dei supporti cartacei. Ma quale è la relazione che ci permette di vedere il libro come antenato dei supporti ottici o magnetici? Possiamo pensare alla scrittura come a un modello di codice di memorizzazione. I libri diventano allora le memorie di massa più adatte alla conservazione del codice scrittura. Se cambia il codice, cambia anche il tipo di supporto ad essi) legato. Il codice binario o esadecimale, per esempio, non si presta assolutamente alla stampa cartacea né alla visualizzazione, ovvero alla lettura umana (escludendo i moderni "scribi-programmatori" che li possono interpretare). Il codice binario si presta perfettamente alla lettura meccanica per tutta una serie di caratteristiche che qui sarebbe lungo commentare. Esso rappresenta una sorta di alfabetizzazione secondaria (o anche di interfaccia) rispetto al codice linguistico stesso, il quale a sua volta è rappresentazione-interfaccia di un codice orale. Il codice binario è, in tutta evidenza, la nuova scrittura elettronica e gli ipertesto sono appunto sequenze elettroniche di codice con particolari proprietà, la prima delle quali è la non sequenzialità ma la capacità con cui attraverso i programmi riusciamo ad estrarne. Di fatto credo che se si scrivesse una storia della scrittura come codice potremmo avere una mappatura dell’evoluzione del pensiero e dell'umanità e non sarebbe certo tempo perso.
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