giovedì 11 settembre 2008

L'alfabeto

“…Perché esso ( l’alfabeto) ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà. Essi cercheranno di esercitarsi la memoria perché fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non più all’interno di se stessi, ma da di fuori, attraverso sogni estranei: ciò che tu hai trovato non è una ricetta per la memoria ma per richiamare alla mente. Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l’apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose senza insegnamento, si crederanno di essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni invece che sapienti”.
Platone, Fedro, 275.

Al di là dei diversi pareri che questa discussione di Platone può suscitare, le battute finali di questo celebre dialogo platonico pongono in essere un problema che assilla l’umanità da millenni e a cui non si è ancora saputo dare una risposta definitiva. Platone ricorda in questo passo il mito di Thot, il grande dio inventore dei nu­meri del calcolo, della geometria, del­l'astronomia e del gioco dei dadi e (ul­timo nell'elenco socratico) delle lettere dell'alfabeto. Questa discussione platoniana è la risposta che il faraone Thamos dà al dio quando questi gli presenta la sua invenzione. Il proble­ma prontamente individuato da Platone attraverso le parole di Thamos non fa tanto riferimento alla nuova invenzione, la scrittura appunto, ma alla mi­naccia che la sua comparsa avrebbe comportato: non la conservazione ma la cancellazione della memoria.
Memorizzare dati costituiva questio­ne fondamentale già nell'antichità quando le culture erano ancora orali e in parte la poesia, o meglio la tecnica epica, ne costituì a suo modo una par­ziale soluzione. Ciò che a tutta prima si può osservare è che ogni epoca ha trovato una risposta al problema della memorizzazione dei dati modificando il supporto su cui questi venivano con­servati in relazione alla tecnologia pre­sente in quel momento. Il primo sup­porto di memorizzazione dati fu con tutta evidenza l'uomo stesso attraverso due sistemi: vocale e mnemonico il primo, complementare e di supporto al secondo. Le prime soluzioni al proble­ma della memorizzazione furono pro­babilmente sia grafiche (come dovreb­be chiarire intuitivamente la storia del­la scrittura egizia) sia, per il supporto orale, poetiche, ma furono anche suo­ni, rumori, incisioni, disegni ecc. Furo­no insomma a loro modo soluzioni multimediali. Nell’epoca in cui la scrittura divenne il maggior mezzo di informazione, le tecniche relative per la sua memorizzazione passarono attraverso la pietra, la terracotta, i papiri, le per­gamene gli incunaboli, via via fino ad arrivare al libro. Accanto a queste vi erano ci si aggiunsero altre tecniche, sempre legate al medium comunicati­io: la pittura la fotografia, il film, le re­gistrazioni sonore in analogico, le regi­strazioni digitali su supporti differen­ziati ecc.: tutte tecniche che per noi poi sono diventate e sono state chiamate arti. Oggi esse vengono riunite sotto il nome di multimedia, per certi aspetti ipotizzabile come una forma economi­ca della memorizzazione. Dunque l'antenato del moderno hard disk, per non parlare dei dischi ottici e dei DVD è direttamente il li­bro e, in origine, la scrittura stessa. Tut­tavia anche questi strumenti, dischi ri­scrivibili e o leggibili, hanno, mutatis mutandis, gli stessi problemi di manu­tenzione e conservazione dei supporti cartacei. Ma quale è la relazione che ci permette di vedere il libro come ante­nato dei supporti ottici o magnetici? Possiamo pensare alla scrittura come a un modello di codice di memorizza­zione. I libri diventano allora le memo­rie di massa più adatte alla conserva­zione del codice scrittura. Se cambia il codice, cambia anche il tipo di sup­porto ad essi) legato. Il codice binario o esadecimale, per esempio, non si presta assolutamente alla stampa car­tacea né alla visualizzazione, ovvero alla lettura umana (escludendo i moderni "scribi-programmatori" che li possono interpretare). Il codice bina­rio si presta perfettamente alla lettura meccanica per tutta una serie di caratteri­stiche che qui sarebbe lungo commentare. Esso rappresenta una sorta di alfabetizzazione secondaria (o anche di interfaccia) rispetto al codice lingui­stico stesso, il quale a sua volta è rap­presentazione-interfaccia di un codice orale. Il codice binario è, in tutta evi­denza, la nuova scrittura elettronica e gli ipertesto sono appunto sequenze elet­troniche di codice con particolari pro­prietà, la prima delle quali è la non se­quenzialità ma la capacità con cui attraverso i programmi riusciamo ad estrarne. Di fatto credo che se si scrivesse una storia della scrittura come codice po­tremmo avere una mappatura dell’e­voluzione del pensiero e dell'umanità e non sarebbe certo tempo perso.

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