lunedì 8 settembre 2008

Ascoltando il cuore

E’ quanto m’accadeva in un giorno di vacanza che non sapeva decidersi se essere sereno o imbronciato, se piovere o no, se riproporre l’afa della pianura o un anticipo delle prime brezze settembrine.
Qui, a quota mille metri, in un posto defilato dell’appennino a cavallo tra Emilia e Liguria, senza turisti e senza caos, il cielo si abbassa e si addensa, accerchia nella sua luce decadente alberi, animali, case di pietra e lontani profili di urbanizzazione.
Tutto è pervaso da un senso di sospensione, tace e aspetta. A tratti un po’ di sole color porpora tenta d’incunearsi nella ragnatela di nubi che mi sovrastano ma lo fa senza convinzione, tanto è debole, calmo, lento.
Una sensazione di pena diffusa si posa su tutto. E’ una pena anche lei tranquilla, rassegnata, un dolore che accetta la vita com’è in questo istante di grigiore ravvivato solo da sparuti cespugli verdi disseminati nelle prime ascese della roccia. Pare d’essere immersi in un alone di umidità che sa di pianto antico, senza lacrime.
Tutto quanto d’intorno somiglia a certi cuori che hanno dentro l’aridità del deserto e che vivono senza vento e senza intravedere oasi di salvezza. Pare che le cose abbiano trovato rifugio ovunque e che da lontano guardino questo posto.
Ma cosa? Ma dove? E perché? Forse l’estate ha paura che l’autunno bussi alla sua porta e che accoglierla sarebbe affrontare l’inevitabile ruota del tempo, i passaggi alternati di dolore e felicità. In questo momento non esistono i picchi o gli abissi dell’umano, ma solo una quiete orizzontale, dilatata all’estremo, un senso di pianura percepito tra le montagne: riposante percezione della piattezza fra la verticalità dei boschi. In verità non si vede nessuna spianata, è solo un’intuizione sensoriale, forse è soltanto il cuore che si allarga e riposa nell’ora che segue il pranzo.
Momento fatato e indefinito questo, lontano da tutto e da tutti, senza telefono, televisore e musica, tranne quella che viene spinta dal vento tra i rami, un cane senza guinzaglio che mi sceglie come provvisorio amico e si acciambella ai miei piedi, un cinguettio che non trova risposta, un libro di Zanzotto dal titolo ecumenico “Aure e disincanti”, e un’idea vaga, vaghissima, di chissà quale vita.
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