sabato 27 settembre 2008

Il profumo del Gargano



Il Gargano ha un suo profumo, ha tanti caratteristici e diversi suoi profumi che poi si sovrappongono, si mescola­no, si confondono e danno l’essenza del Gargano, che prende fin dal primo momento. E’ il pino marino, è l'Adriatico, sono le tante piante di mirto, di origano, di timo, sono le ginestre, la salvia, il rosmarino, il serpillo (la cui pastura rende ottimo il latte e pregiati molti suoi de­rivati lavorati sul posto), sono gli asfodeli, il lentisco, i pina­stri, la mentuzza, sono le molte e molte erbe della macchia che si spinge fino al mare.
Provate ad aprire tutti i finestrini dell’auto, quando arrivate sul promontorio garganico: sentirete immediatamente questo profumo di selva e di mare e comprenderete che la vostra vacanza è davvero iniziata, che siete entrati in un mondo diverso. Ma questo mondo così caro alle vacanze di tanti, italiani e stranieri, questo mondo così benedetto dalla natura, nonostante questa subisca ogni anno attentati incendiari, cela anche i segreti di uomini da noi remoti nel tempo, che per diversi motivi hanno compiuto lo stesso viaggio fin qui, e di esso hanno lasciato la propria impronta.
Ebbene, il segreto, o almeno una parte di esso, potrete fin da subito svelarlo quando raggiungerete Manfredonia,la porta del Gargano. Lì, nelle segrete sotterranee del Castello Angioino, c’è il Museo Archeologico dove vengono esposte le steli di pietra figurate che ignoti artisti della protostoria scolpirono e lasciarono a migliaia, nell’area delle paludi oggi bonificate di Siponto. Le steli daune, perché qui siamo nell’antica Daunia che adesso chiamano un po’ burocraticamente, Capitanata, vi s’imprimeranno nella memoria con il loro aspetto di lastre rettangolari intese a suggerire un corpo umano, tanto che fu ad esse sovrapposto un capo della stessa pietra molto schematico ma di rara efficacia. Sulle lastre sono incise, entro cornici geometriche che le inquadrano tutt’intorno, armi per gli uomini (spade, giustacuori, scudi) e ornamenti per le donne (collane, pettorali, grandi fibbie con nappe, cinture con nastri e pendagli).
Questi sono gli elementi distintivi. Ma la caratteristica principale delle steli daune è che tutta la parte anteriore reca pure incise, in aggiunta, le scene relative alla vita dell’aldilà: banchetti, offerte, colloqui, caccia e pesca, giochi in onore dei defunti. E in più tanti mostri infernali, che ai defunti fanno buona guardia, li interrogano e li spaventano. Questa fantasia lussureggiante, che d’improvviso fiorisce sulla sponda meridionale del promontorio garganico verso l’ottavo secolo a.C e altrettanto d’improvviso scomparve verso il quinto secolo a.C. a chi appartiene. Negli studi dedicati all’argomento, molti archeologi pensarono a migrazioni dall’opposta sponda adriatica, cioè dalla via d’Oriente, dunque, quella via che costituisce,fino ai nostri giorni il filo conduttore degli spostamenti di massa verso i lidi italici. Alcuni studiosi sono tentati di indicare nelle scene rappresentate nelle steli, fascinose coincidenze con l’Iliade omerica: il riscatto di un guerriero ucciso, alcuni uomini dentro al corpo di un cavallo e, per questo, ne traggono una specie di ipotesi suggestiva di un’Iliade “figurata”, di una trasposizione popolare dei motivi eternati dalla poesia di Omero.
Certo le steli daune non sono che una manifestazione più appariscente di una presenza umana antichissima sul promontorio garganico e nel retroterra adiacente, che si conta in centinaia e migliaia di anni e che fu indubbiamente dovuta alle eccezionali condizioni climatiche di questa terra: basti ricordare, ad esempio, l’osso graffito con una scena di caccia scoperto nella Grotta Paglicci (non molto distante dalla porta del Gargano) e risalente all’età paleolitica.
Nella vicina Salpi (l’antica Salapia, che secondo la leggenda sarebbe stata fondata dall’eroe greco Diomede) sono state individuate le tracce di un’ampia cinta muraria e lo stesso è accaduto in altri centri, come Arpi e Lucera. Sono cinte, si noti, più grandi di quelle moderne: solo per citare un esempio, quella di Arpi si estende per tredici chilometri, mentre il perimetro dell’attuale Foggia ne misura suppergiù appena sette. Evidentemente, queste cinte riflettono una diversa concezione della città, per cui le mura circondavano non solo le abitazioni, ma anche i terreni a coltura agricola e a pascolo nel circondario.
Proprio Foggia, con il suo museo, offre una grande testimonianza della storia archeologica della provincia Dauna e proprio Lucera, con l’anfiteatro, documenta la trasformazione nell’età romana. Ma c’è ancora un itinerario da raccomandare per chi intenda soggiornare da queste parti, quello che per una strada a tornanti, tra spuntoni di rocce brulle e grige, porta a Monte Sant’Angelo, dove si eleva da settimo secolo della nostra era un santuario celebre e venerato, quello di San Michele Arcangelo.
Malgrado le trasformazioni e le distruzioni, il santuario conserva ancora la sua struttura caratteristica: una lunga galleria, sotto la chiesa, conduce a una grotta naturale in cui, secondo la tradizione, San Michele sarebbe apparso e avrebbe lasciato l’impronta dei suoi piedi. Il fenomeno della “stilla”, cioè della sorgente miracolosa che lascia trasudare l’acqua dalle areti della grotta, si collega ad un culto assai più antico, del quale ci danno notizia gli scrittori greci. Soprattutto sono caratteristiche del santuario le iscrizioni sulle pareti, tracciate con mano inesperta e non senza errori dai pellegrini di tutto il mondo, crociati compresi. L’università di Bari, qualche anno fa, ha fatto una mappa completa e dettagliata, dalla quale risultano centinaia di nomi accompagnati da qualifiche come “peccatore”, umile”, “indegno” e da formule dedicatorie come “Viva Dio”. Un fatto che colpisce subito l’ettenzione: molti di questi nomi sono longobardi e dunque la predilezione di quella gente per il santuario. Vogliamo considerarli i predecessori dei turisti, oggi assai numerosi e forse inconsci di un tale antefatto, che visitano il Gargano? Non si tratta sempre d’iscrizioni. A volte anche i Signori di un tempo mettevano le loro diciture e le casuali quando avevano parte nei rifacimenti della Basilica. Dice una scritta tutta in maiuscolo: “Il duca Romualdo, spingendolo la devozione, per ringraziamento a Dio e al santo Arcangelo volle che si facesse (la costruzione) e ne fornì i mezzi”. Si tratta di Romualdo I°, duca di Benevento dal 663 al 687; e dopo di lui compaiono anche Romualdo II° e la moglie Gunperga.
Così, attraverso i millenni, il Gargano perpetua la sua funzione di grande area di civiltà, di luogo di convergenza e di raccordo per gli uomini e le credenze delle origini più varie e remore. Vero sperone d’Italia, si protende nell’Adriatico raccogliendone gli apporti, sedimentandoli, offrendoli all’incontro e al confronto con quelli che giungono dall’entroterra. Un po’ come i magici vasi esposti nell’antica farmacia di Mattinata, l’atrio del Gargano, che imprigionano i più preziosi profumi e, poi, aprendosi, li offrono ai visitatori.

Immagine: nave su stele.

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