venerdì 24 ottobre 2008

La porta d'Italia





Sarà vero quanto afferma la voce popolare, che biso­gna venire quaggiú, nel Salento, all'estrema punta d'Italia protesa nel mare verso Oriente, almeno una volta per meritare il Pa­radiso? Lo avrebbe decretato san Pietro, che delle porte del Paradiso è il custode, sbarcando qui dopo un lungo viaggio tempestoso e rinfrancandosi ad ammirare l'incan­tesimo delle distese verdi di ulivi, delle casette bianche, del mare azzurro sotto una luce di straordinaria limpidità e trasparenza.
Certo, l'attuale santuario di Santa Maria di Leuca, detto “de Finibus Terrae” e cioè “ai confini della terra”, ha ori­gini quanto mai remote, che gli archeologi vanno ora ri­portando alla luce. Il sug­gestivo paesaggio tra ulivi secolari e moderni villaggi turistici, a poco a poco, si punteggia del­le testimonianze di remote civiltà; e tali testimonianze convergono in un significato comune, quello che la storia d'Italia passa di qui, cominciano qui molte delle sue piú af­fascinanti vicende. A Leuca, dunque, i resti fortificati di un villaggio del­l'età del Bronzo rivelano la presenza di antichi abitatori già nel II millennio a. C. Ed ecco un esempio illuminante di continuità tra il passato e l'epoca attuale: il muro di cinta dell'antico villaggio è costruito esattamente con la stessa tecnica di pietre a secco che s'usa ancor oggi per i muri di confine tra i campi! Quanto alla provenienza dei piú antichi abitatori, essi vennero almeno in parte dalla Grecia, come dimostrano le ceramiche micenee scoperte insieme a quelle indigene. Comincia allora, dunque quell'incontro tra colonizzatori e abitanti del luogo dalla cui simbiosi scaturisce la prima storia d'Italia.
Ma dove piú la suggestione del presente si unisce a quella del passato è nella visita delle grotte, che s'incuneano tra scogliere rocciose. Raggiungibili in parte da terra, in parte con una gita in barca che consente di ammirare dall'esterno le forme piú fantasiose e i colori piú suggestivi della roccia, esse conservano i segni di una frequenta­zione che va dalle remote origini lungo tutta l'età antica e oltre, fino a quella cristiana. Sulle pareti delle grotte paiono figurazioni e iscrizioni che commemorano le le avventure dei marinai, la loro fede, la loro speranza.
Risalendo lungo la costa adriatica del Salento, le grotte continuano a essere il motivo di attrazione piú grande, per il turista come per l'indagatore di antiche civiltà. E cosí la Grotta Zinzulusa mostra, nel corridoio giustamente det­to “delle Meraviglie”, una serie di stalattiti, stalagmiti e altre concrezioni calcaree che in dialetto locale si chiama­no zinzuli (donde il nome del complesso). Subito vicino, la Grotta Romanelli reca non solo testimonianze degli stru­menti dell'età della pietra, ma graffiti sulle pareti con fi­gure umane e animali che si datano a circa dodicimila anni or sono. La maggiore scoperta del nostro tempo è tuttavia quella di Porto Badisco, che s'incontra poco prima di Otran­to. Qui, in una grotta dai cunicoli lunghissimi e complicati, sono state individuate pitture parietali che in parte ripro­ducono scene di caccia al cervo, in parte mostrano elementi geometrici come meandri, spirali e altri segni che non sono in grado di spiegare. Una cosa è certa: qui, presso a po­co cinquemila anni fa, fiorì un'arte fortemente astratta, che dimostra quanto sia superficiale l'opinione di chi ri­tiene l'astrazione un fenomeno proprio del nostro tempo. “Si scende in un vero paradiso terrestre, un vera valle dei Campi Elisi” così un viaggiatore del Settecento, Richard de Saint-Non, descrive l’arrivo a Otranto.
Otranto è oggi sede di sensazionali scoperte, con un vil­laggio del IX° secolo che offre una ricca documentazione di vasi prodotti in Grecia. E questa la piú antica data in assoluto che si possa stabilire per l'arrivo dei Greci in Italia. E allora si rovescia la ricostruzione tradizionale della storia, che voleva in Taranto, sull'opposta sponda dello Ionio, il primo insediamento dei colonizzatori, dal quale solo in seguito essi si sarebbero irradiati verso l'A­driatico. Ma Taranto sorge alla fine dell'VIII° secolo, e dun­que molto dopo: sicché oggi possiamo dire che, come del resto vuole la logica della storia, la colonizzazione greca parti dalle coste per essa piú vicine, quelle appunto del­l'Adriatico.
Ma v'è un'altra rivelazione dei nostri giorni: quella della civiltà indigena del Salento, che in parte si oppose e in parte s'integrò con quella greca. Cavallino, a pochi chilo­metri da Lecce, svela al visitatore l'antecedente della cit­tà moderna. Ecco le mura poderose riportate alla luce dagli scavi; ecco le abitazioni disposte su vie rettilinee che s'in­crociano ad angoli retti; e con le abitazioni le officine, spe­cie di ceramisti. Il passato, ancora una volta, si congiunge al presente: compaiono a Cavallino le prime costruzioni nella celebre “pietra leccese”, dal colore caldo e dorato, che sarà dominante nel barocco salentino.
Altre rivelazioni vengono da Vaste, dove gli scavi in corso pongono in luce un'imponente cinta muraria, lunga tre chilometri. E insieme vi sono una grande strada che at­traversa tutto l'abitato e un recinto sacro con stele, cippi e altari. Ma soprattutto, Vaste s'impone per le grandi tom­be con ricchi corredi funerari, nei quali compaiono tra l'al­tro oggetti di bronzo e vasi dipinti da celebri pittori greci. Una curiosità significativa: nei vasi compare già la forma “a trozzelle”, cioè con due piccole anse simili a ruote, che rimarrà caratteristica attraverso i secoli.
Alcune iscrizioni, con i nomi dei dedicanti, ci introducono nel mondo ancora misterioso dei Messapi, come i Gre­ci chiamarono le popolazioni locali (e vollero dire “gente di mezzo”, tra l'Adriatico e lo Ionio). Ma per trovare il complesso piú vasto e vario di iscrizioni bisogna tornare alle grotte sul mare, motivo dominante di questo itinerario. A Roca Vecchia, poco sopra Otranto, gli archeo­logi dell'Università di Lecce hanno esplorato, anni fa, una grot­ta affascinante già nel nome, perché è detta “della Poesia “.
In realtà, si tratta di una deformazione di Posia, che in greco significa “bere”; e infatti sgorgava qui una sor­gente di acqua dolce, mentre non v'è da stupirsi dell'uso della lingua greca, che ancora si parla in varie località del Salento. Sulle pareti della grotta si può vedere una vera selva di iscrizioni, messapiche e poi greche e romane, che indicano la continuità del culto praticato sul luogo. Il no­me della divinità a cui era dedicato compare in chiare let­tere: Tauthor. Ed è interessante che i Romani lo facciano proprio, adattandolo in Tutor, cioè “protettore”!
Ma la continuità della vita va oltre. E dunque mi permetto di suggerire, per concludere al meglio questa passeggiata salentina, di visitare la cattedrale di Otranto, eretta nell'XI° secolo della nostra era e miracolosamente sfuggita a tante devastazioni, per ammirare il mosaico pavimentale, del secolo successi­vo, che costruisce su un grande Albero della Vita scene della mitologia classica e della fede cristiana: una combi­nazione davvero significativa, in questa terra straordinaria.
Foto: Frammenti messapici-Museo di Otranto

Nessun commento:

Posta un commento

Back to Top http://www.degraeve.com/favicon/favicon.ico?9583.72994399728