venerdì 24 ottobre 2008

La porta d'Italia





Sarà vero quanto afferma la voce popolare, che biso­gna venire quaggiú, nel Salento, all'estrema punta d'Italia protesa nel mare verso Oriente, almeno una volta per meritare il Pa­radiso? Lo avrebbe decretato san Pietro, che delle porte del Paradiso è il custode, sbarcando qui dopo un lungo viaggio tempestoso e rinfrancandosi ad ammirare l'incan­tesimo delle distese verdi di ulivi, delle casette bianche, del mare azzurro sotto una luce di straordinaria limpidità e trasparenza.
Certo, l'attuale santuario di Santa Maria di Leuca, detto “de Finibus Terrae” e cioè “ai confini della terra”, ha ori­gini quanto mai remote, che gli archeologi vanno ora ri­portando alla luce. Il sug­gestivo paesaggio tra ulivi secolari e moderni villaggi turistici, a poco a poco, si punteggia del­le testimonianze di remote civiltà; e tali testimonianze convergono in un significato comune, quello che la storia d'Italia passa di qui, cominciano qui molte delle sue piú af­fascinanti vicende. A Leuca, dunque, i resti fortificati di un villaggio del­l'età del Bronzo rivelano la presenza di antichi abitatori già nel II millennio a. C. Ed ecco un esempio illuminante di continuità tra il passato e l'epoca attuale: il muro di cinta dell'antico villaggio è costruito esattamente con la stessa tecnica di pietre a secco che s'usa ancor oggi per i muri di confine tra i campi! Quanto alla provenienza dei piú antichi abitatori, essi vennero almeno in parte dalla Grecia, come dimostrano le ceramiche micenee scoperte insieme a quelle indigene. Comincia allora, dunque quell'incontro tra colonizzatori e abitanti del luogo dalla cui simbiosi scaturisce la prima storia d'Italia.
Ma dove piú la suggestione del presente si unisce a quella del passato è nella visita delle grotte, che s'incuneano tra scogliere rocciose. Raggiungibili in parte da terra, in parte con una gita in barca che consente di ammirare dall'esterno le forme piú fantasiose e i colori piú suggestivi della roccia, esse conservano i segni di una frequenta­zione che va dalle remote origini lungo tutta l'età antica e oltre, fino a quella cristiana. Sulle pareti delle grotte paiono figurazioni e iscrizioni che commemorano le le avventure dei marinai, la loro fede, la loro speranza.
Risalendo lungo la costa adriatica del Salento, le grotte continuano a essere il motivo di attrazione piú grande, per il turista come per l'indagatore di antiche civiltà. E cosí la Grotta Zinzulusa mostra, nel corridoio giustamente det­to “delle Meraviglie”, una serie di stalattiti, stalagmiti e altre concrezioni calcaree che in dialetto locale si chiama­no zinzuli (donde il nome del complesso). Subito vicino, la Grotta Romanelli reca non solo testimonianze degli stru­menti dell'età della pietra, ma graffiti sulle pareti con fi­gure umane e animali che si datano a circa dodicimila anni or sono. La maggiore scoperta del nostro tempo è tuttavia quella di Porto Badisco, che s'incontra poco prima di Otran­to. Qui, in una grotta dai cunicoli lunghissimi e complicati, sono state individuate pitture parietali che in parte ripro­ducono scene di caccia al cervo, in parte mostrano elementi geometrici come meandri, spirali e altri segni che non sono in grado di spiegare. Una cosa è certa: qui, presso a po­co cinquemila anni fa, fiorì un'arte fortemente astratta, che dimostra quanto sia superficiale l'opinione di chi ri­tiene l'astrazione un fenomeno proprio del nostro tempo. “Si scende in un vero paradiso terrestre, un vera valle dei Campi Elisi” così un viaggiatore del Settecento, Richard de Saint-Non, descrive l’arrivo a Otranto.
Otranto è oggi sede di sensazionali scoperte, con un vil­laggio del IX° secolo che offre una ricca documentazione di vasi prodotti in Grecia. E questa la piú antica data in assoluto che si possa stabilire per l'arrivo dei Greci in Italia. E allora si rovescia la ricostruzione tradizionale della storia, che voleva in Taranto, sull'opposta sponda dello Ionio, il primo insediamento dei colonizzatori, dal quale solo in seguito essi si sarebbero irradiati verso l'A­driatico. Ma Taranto sorge alla fine dell'VIII° secolo, e dun­que molto dopo: sicché oggi possiamo dire che, come del resto vuole la logica della storia, la colonizzazione greca parti dalle coste per essa piú vicine, quelle appunto del­l'Adriatico.
Ma v'è un'altra rivelazione dei nostri giorni: quella della civiltà indigena del Salento, che in parte si oppose e in parte s'integrò con quella greca. Cavallino, a pochi chilo­metri da Lecce, svela al visitatore l'antecedente della cit­tà moderna. Ecco le mura poderose riportate alla luce dagli scavi; ecco le abitazioni disposte su vie rettilinee che s'in­crociano ad angoli retti; e con le abitazioni le officine, spe­cie di ceramisti. Il passato, ancora una volta, si congiunge al presente: compaiono a Cavallino le prime costruzioni nella celebre “pietra leccese”, dal colore caldo e dorato, che sarà dominante nel barocco salentino.
Altre rivelazioni vengono da Vaste, dove gli scavi in corso pongono in luce un'imponente cinta muraria, lunga tre chilometri. E insieme vi sono una grande strada che at­traversa tutto l'abitato e un recinto sacro con stele, cippi e altari. Ma soprattutto, Vaste s'impone per le grandi tom­be con ricchi corredi funerari, nei quali compaiono tra l'al­tro oggetti di bronzo e vasi dipinti da celebri pittori greci. Una curiosità significativa: nei vasi compare già la forma “a trozzelle”, cioè con due piccole anse simili a ruote, che rimarrà caratteristica attraverso i secoli.
Alcune iscrizioni, con i nomi dei dedicanti, ci introducono nel mondo ancora misterioso dei Messapi, come i Gre­ci chiamarono le popolazioni locali (e vollero dire “gente di mezzo”, tra l'Adriatico e lo Ionio). Ma per trovare il complesso piú vasto e vario di iscrizioni bisogna tornare alle grotte sul mare, motivo dominante di questo itinerario. A Roca Vecchia, poco sopra Otranto, gli archeo­logi dell'Università di Lecce hanno esplorato, anni fa, una grot­ta affascinante già nel nome, perché è detta “della Poesia “.
In realtà, si tratta di una deformazione di Posia, che in greco significa “bere”; e infatti sgorgava qui una sor­gente di acqua dolce, mentre non v'è da stupirsi dell'uso della lingua greca, che ancora si parla in varie località del Salento. Sulle pareti della grotta si può vedere una vera selva di iscrizioni, messapiche e poi greche e romane, che indicano la continuità del culto praticato sul luogo. Il no­me della divinità a cui era dedicato compare in chiare let­tere: Tauthor. Ed è interessante che i Romani lo facciano proprio, adattandolo in Tutor, cioè “protettore”!
Ma la continuità della vita va oltre. E dunque mi permetto di suggerire, per concludere al meglio questa passeggiata salentina, di visitare la cattedrale di Otranto, eretta nell'XI° secolo della nostra era e miracolosamente sfuggita a tante devastazioni, per ammirare il mosaico pavimentale, del secolo successi­vo, che costruisce su un grande Albero della Vita scene della mitologia classica e della fede cristiana: una combi­nazione davvero significativa, in questa terra straordinaria.
Foto: Frammenti messapici-Museo di Otranto

domenica 12 ottobre 2008

La vignetta della domenica




160 parole per una città.




Torino

Il ragazzo si rifugiava sul balcone. Oltre prati sperduti fra case troppo nuove, sorgevano fumaioli da capannoni tristi di fuliggine; e tranvai passavano al fondo della via, con nella curva uno stridere di ruota e di rotaia…al sentirsi in quella città fra tutta quella gente che camminava sempre in fretta, cominciava a vedere lo sgranarsi delle sue giornate come un qualcosa che fosse da lui staccato, diverso; come quando si guardava in uno specchio e a quel volto diceva sono io. E tanto tempo dopo, una grande città operaia che si è dilatata attorno ai palazzi di un’ancien regime e si protende verso quella che vorrà essere una vita nuova. Ma il ragazzo di un tempo ha vissuto la sua vita; ormai è vecchio, ancora per poco ripercorre le vie e le strade che gli paiono sempre diverse e sempre uguali. Una città estranea e materna che si abbandona con sollievo e si ritrova con gioia.


Frator

sabato 11 ottobre 2008

L'Università truccata


Evidenzio un capitolo del libro di Roberto Perotti "L'università truccata" (Einaudi, 183 pagine, 16 euro), in libreria in questi giorni. L'università italiana non si riforma con nuove ondate di regole, prescrizioni e controlli. Serve invece introdurre invece un sistema di incentivi e disincentivi efficaci. Dove sia nell'interesse stesso degli individui cercare di fare buona ricerca e buona didattica ed evitare comportamenti clientelari. Su quest'ultimo aspetto si soffermano alcune parti del libro. Ecco il capitolo.




BARI, FACOLTA’ DI ECONOMIA
Per dare concretezza alle argomentazioni che saranno sviluppate in seguito, è opportuno partire dal caso specifico di una delle maggiori università italiane, quella di Bari. Per anni giornali, settimanali, libri e TV hanno elevato agli onori della cronaca i casi di alcune famiglie particolarmente portate alla carriera accademica. Nella facoltà di Economia sono noti i casi della famiglia Girone, con l’ex magnifico rettore Giovanni professore di Statistica, la moglie Giulia Sallustio, tre figli, un genero, tutti docenti della stessa facoltà; o della famiglia Massari, con Lanfranco professore di Economia Aziendale, due fratelli, e almeno cinque tra figli e nipoti, a Bari e atenei limitrofi; o della famiglia Tatarano, con il padre Giovanni e due figli, tutti docenti di Diritto Privato e tutti nello stesso corridoio.Meno noto è il fatto che non ci sono solo loro. Nella facoltà di Economia almeno 42 docenti su 179 (quasi il 25 percento) risultano avere almeno un parente stretto nella stessa facoltà; altri parenti sono sparsi per le altre facoltà dell’ ateneo, ed altri ancora insegnano negli atenei satelliti, nella sede staccata di Taranto, a Lecce, a Foggia; ed. Tutte queste sono stime prudenziali, perché in parecchi casi fortemente sospetti non sono riuscito a rompere il muro di omertà e ad accertare al di là di ogni dubbio l’ esistenza di un legame di parentela, o l’ esatto grado di parentela. E non c’ è solo Economia: a Medicina e Chirurgia i cognomi che ricorrono almeno due volte sono 40, su 417 docenti di ruolo.Le complesse relazioni di parentela fra docenti della Facoltà di Economia, all’interno della stessa facoltà, con docenti in altre facoltà (casella scura), e con docenti in altri atenei pugliesi (casella scura con bordo frastagliato), sono ricostruite, per quanto possibile, nel Grafico 1. Dal grafico sono esclusi i docenti il cui unico parente stretto accertato in facoltà sia il coniuge. Sono invece inclusi anche alcuni tra i commissari più attivi nei concorsi delle varie famiglie.Tutti sono andati in cattedra in maniera perfettamente legale. Ma i concorsi, per quanto regolari, rivelano ugualmente dei tratti interessanti. Il concorso viene bandito da un ateneo, che designa un commissario; gli altri quattro commissari vengono eletti dai docenti di tutta Italia. Dopo un esame dei titoli ed una prova orale, la commissione dichiara il candidato idoneo. Questi può venire chiamato dall’ateneo che ha bandito il concorso, o da un altro ateneo, o potrebbe anche non essere chiamato da alcun ateneo. Inizialmente, ogni concorso poteva dichiarare fino a tre idonei; dal 2001, solo due; dal 2005, soltanto uno (e dal 2008, di nuovo due).Tre fenomeni emergono molto chiaramente dalla Tabella 1. Primo, la mancanza di concorrenza: in molti concorsi alla fine della procedura rimane un numero di candidati esattamente pari al numero di idoneità disponibili: al momento del voto, non c’è niente da scegliere. Secondo, l’intreccio di commissari che presiedono a vicenda i concorsi delle famiglie più importanti. Terzo, la sorprendente velocità di carriera di certi rampolli di queste famiglie. Consideriamo il primo fenomeno. In ben 18 concorsi su 33 (per 6 concorsi l’informazione non era disponibile) al momento della votazione le idoneità disponibili sono pari al numero dei candidati; in altri 8 concorsi rimane un solo candidato in più delle idoneità disponibili. In alcuni casi il numero dei dispersi è particolarmente sorprendente. Dei tredici candidati che si iscrivono al concorso per professore associato in Diritto Privato a Economia a Bari nel 2002, undici si ritirano nelle varie fasi; solo due si presentano alla prova didattica, tra cui Marco Tatarano, che viene dichiarato idoneo e poi chiamato nella stessa facoltà e nello stesso dipartimento del padre Giovanni. Nel concorso per associato di Economia Aziendale alla Parthenope di Napoli del 2005, di diciassette candidati ne rimangono tre alla votazione finale; due di questi ottengono l’idoneità, fra cui Virginia Milone, ricercatrice a Bari e figlia del professore ordinario Marino Milone (ciò che avvenne dopo questo concorso è ancora più interessante, come vedremo più avanti in questo capitolo). Su dieci candidati iscritti al concorso per ordinario in Economia Aziendale a Lecce del 2003, sette si ritirano prima della stesura dei giudizi; dei tre candidati rimasti, due sono dichiarati idonei; fra questi, Gianluca Girone figlio di Giovanni e già associato a Bari, dove viene poi chiamato come ordinario: presenta cinque monografie, tutte pubblicate nel dipartimento cui appartiene.Alcuni concorsi prendono due rampolli con una fava. Nel concorso per ordinario di Economia Aziendale a Economia a Bari nel 2003, si candidano in sette, si ritirano in quattro; i due idonei sono Vittorio dell’Atti, figlio di Antonio ordinario in facoltà, e Michele Milone, altro figlio di Marino. Al concorso per ricercatore in Economia degli Intermediari Finanziari di Economia a Bari del 2000, si candidano in cinque, si ritirano in tre, le due rimaste sono Raffaella Girone figlia di Giovanni e Virginia Milone figlia di Marino, entrambe idonee.Veniamo al secondo fenomeno, gli intrecci fra commissari. Lanfranco Massari è commissario designato nel 2000 nel concorso della figlia di Marino Milone, Virginia, e della figlia di Giovanni Girone, Raffaella. Entrambi i padri gli restituiscono il favore: nel 2001 Giovanni Girone è commissario nel concorso della figlia di Lanfranco Massari, Antonella; nel 2003 Marino Milone è commissario designato nel concorso di un altro parente di Lanfranco Massari, Francesco Saverio (sorprendentemente, nonostante indagini di parecchi mesi non mi è stato possibile ricostruire se quest’ultimo è figlio o nipote del capostipite Lanfranco Massari). Benito Leoci e Luigi Ciraolo appaiono in entrambi i concorsi di una terza figlia di Lanfranco Massari, Stefania, da associato e da ordinario.Nel concorso da ordinario di Maria Chiara Tatarano del 2000 è commissario designato Pietro Perlingieri, ordinario a Benevento e già senatore del Ppi; nello stesso periodo Tatarano padre è a sua volta commissario designato nel concorso per ricercatore di Giovanni Perlingieri, figlio di Pietro. Quest’ultimo è anche proprietario della casa editrice Edizioni Scientifiche, presso cui hanno pubblicato le loro monografie i due Tatarano figli. In tutti e tre i concorsi dei Tatarano figli, i due di Marco e quello di Maria Chiara, è commissario anche Giuseppe Panza, ordinario a Giurisprudenza a Bari oggi in pensione, il cui figlio Fabrizio Panza è docente ad Economia a Bari. Vito Leonardo Plantamura è commissario in entrambi i concorsi dei Marengo, padre e figlio, il primo da ordinario e il secondo da ricercatore, che si aprono entrambi nel 2003.Infine, il terzo fenomeno, le carriere. Marco Tatarano, figlio di Giovanni, si laurea in Giurisprudenza a Bari nel 2000; ottiene l’idoneità per ricercatore in un concorso in cui non ha concorrenti dopo che si ritirano sei candidati; cinque mesi dopo, il 24 settembre 2002, viene bandito un concorso per associato, in cui su tredici candidati ne sopravvivono due, entrambi idonei; a quattro anni dalla laurea Marco Tatarano è quindi professore associato, una carriera fulminante.Bruno Notarnicola fa meglio. Diventa ricercatore nel 1999 (in un concorso di cui su internet c’è traccia solo del decreto di nomina); subito viene aperto un concorso per associato nel 2000, che egli vince nel 2001 (e anche di questo concorso non è possibile accedere ai giudizi su internet); nel 2004 apre un concorso per ordinario l’università telematica Guglielmo Marconi di Roma; lo vince nel 2006, e viene chiamato dalla facoltà di Economia di Bari (e anche di questo concorso non c’ è traccia su internet); in sette anni passa così da ricercatore ad ordinario. In Italia solo un ordinario su 1000 ha meno di 35 anni; ma nel 2006 Stefania Massari vince l’idoneità per ordinario in statistica economica proprio a 35 anni; la sorella Antonella la vince nella stessa materia a 37 anni.Ma la carriera più spettacolare è probabilmente quella di Giovanni Perlingieri (figlio di Pietro ordinario a Benevento), che già abbiamo visto vincere il concorso da ricercatore nel 2001 a 24 anni con Giovanni Tatarano come commissario. Nell’aprile del 2002 viene bandito un concorso da associato a Cagliari, che egli vince in dicembre, venendo subito chiamato a Salerno; dopo otto mesi viene indetto un concorso da ordinario a Padova, che vince nel marzo del 2004; viene quindi chiamato come ordinario nel settembre 2005 alla seconda università di Napoli, a 29 anni appena compiuti. Stabilisce così probabilmente due record, o almeno vi si avvicina molto: la carriera più fulminante (quattro anni e mezzo dalla nomina a ricercatore alla nomina a ordinario, quando spesso ci vogliono tre anni solo per espletare un singolo concorso, e altrettanti per ottenere la conferma in ruolo); e uno dei più giovani ordinari nella storia dell’università italiana (Luigi Einaudi divenne ordinario a 28 anni, e per decenni se ne parlò come di un fatto leggendario).

domenica 5 ottobre 2008

Il racconto della domenica



Comunità

Siamo cinque amici, una volta uscimmo da una casa l'uno dopo l'altro, il primo uscì e si mise vicino alla porta, poi dalla porta uscì, o piuttosto scivolò via, così facilmente come scivola una palli­na di mercurio, il secondo, e si mise un poco discosto dal primo, poi il terzo, poi il quarto, poi il quinto. Alla fine, stavamo tutti in fila. La gente si accorse dì noi, ci indicava e diceva: «I cinque sono usciti ora da questa casa». Da allora viviamo insieme, sarebbe una vita tranquilla se di continuo non si intromettesse un sesto. Egli non fa nulla di male, ma ci dà fastidio, e questo basta; perché si intromette dove non lo si vuole? Noi non lo conosciamo e non vogliamo accoglierlo fra noi. Certo, prima anche noi cinque non ci conoscevamo l'un l'altro, e, se si vuole, non ci conosciamo anco­ra l'un l'altro, ma ciò che è possibile per noi cinque, ed è sopporta­to, per quel sesto non è possibile e non è sopportato. Oltre a ciò, siamo cinque e non vogliamo essere sei. E, in generale, che senso deve avere questo stare continuamente in compagnia? Anche per noi cinque non ha alcun senso, però ora siamo già in compagnia e ci restiamo, ma non vogliamo una nuova unione proprio sulla base delle nostre esperienze. Ma come si può farlo capire garbata­mente al sesto? Lunghe spiegazioni significherebbero già quasi un suo inserimento nel nostro gruppo, preferiamo non spiegare niente e non accoglierlo. Per quanto possa storcere le labbra, lo respingia­mo con i gomiti, ma, per quanto lo possiamo respingere, ritorna.




Franz Kafka

La vignetta della domenica




sabato 4 ottobre 2008

L'edicola





Napoli, quartiere popolare.


L'edicola di Don Gennaro è un punto di riferimento per tutti, nella piazza, tanto è grande e stipata di oggetti, e ricca di folclore: bandiere d'Italia, bandiere del Napoli ai tempi di Diego, giochini, souvenir, caramelle, bevande, acquafresca, sigarette, accendini...Don Gennaro stà lì da tanti anni, oramai. E conosce per bene tutti i suoi clienti. E di tutti conosce i vizi e le virtù.Tranne di uno. Un signore un po’ strano. Che ogni giorno puntuale - ormai da un po’ di tempo - si presenta da lui e gli chiede 'Il Mattino', 'Repubblica' e 'Il sole 24ore'. Si tratta di un tipo sulla quarantina, no..., sulla cinquantina, più probabilmente, che arriva su una macchina aperta, di colore grigio, e ha un aspetto curioso,vagamente sciatto e insieme distinto. Don Gennaro non riesce a inquadrarlo. Certo non è un mariuolo. Ma non sembra un dottore e neanche un avvocato. Qualcosa gli dice che non è un operaio.Ma neanche un impiegato. ... Forse un giornalista ?Chissà... Don Gennaro è curioso, ma non dice niente per non far vedere...Finchè arriva il giorno in cui non resiste e, dopo l'ennesima consegna di giornali, gadgets, e resto, guarda l'uomo e gli fa: - 'Scusate, dottò ...'

'Ditemi...'

'Vedete dottò, io faccio il giornalaio che sono tanti anni, e qui conosco tutti, ma a voi non vi ho mai visto e...'

'In effetti è da poco che abito qui'.-

'Ecco. Precisamente. E allora mi chiedevo. Volevo sapere. Che ci fa un tipo come voi, voglio dire, distinto, perbene, in un posto così ???'

'Mi piace questo posto. E' una zona ricca di storia e cultura. E poi lavoro qui. Qui vicino'

'E infatti pensavo che lavoravate qua attorno. E scusate dottò, se non sono indiscreto, dove lavorate ?' 'All'Università. Sono professore di Filosofia e Logica'. - '

'Annacc...' esclama tra sè Don Gennaro, come a dire 'era facile, in fondo, Università...Ma poi si riprende e - ancora più curioso '...scusate, prufessò....'

'Dite'-

'Ecco, prufessò, io la filosofia ne ho sentito parlare, bene o male Platone, Aristotele, Kant, pure De Crescenzo, ma ... aggiate pacienza, prufessò, ma stà logica che è ? ? ?

'Ah. Voi volete sapere......'

'si io vorrei sapere...'

'Dunque, amico caro, il 'logos', in greco, è il verbo, la parola. E la logica è l'arte, la nobile arte di combinare tra sè le parole spiegandone i collegamenti'.

Don Gennaro lo guarda interdetto, non avendo compreso.

'La vedo perplesso, caro amico mio.... Mi spiegherò meglio, con un breve esempio. Dunque dunque... Lei possiede un acquario ?'

'veramente sì, prufessò, è una vecchia passione di papà bonanima che...'

'Ecco' - interrompe il Prof. 'Per cui, se possiede un acquario, lei sarà un amante dei pesci'

'E si capisce, prufessò...'

'Pertanto, amando lei i pesci, che sono animali, si può pure dire che lei ama gli animali, è così ?' - 'Certamente'.

'Perfetto. E mi dica, mio caro, non è forse vero che l'uomo, il quale notoriamente discende dalle scimmie, è anch'esso un animale ???' -

'Ovvio, prufessò'

'Dal che si deduce che lei ama l'uomo. E la donna cos'è, se non espressione del genere umano, una costola d'uomo, l'altra faccia del cielo ???Voglio dire, a lei piacciono gli uomini e DUNQUE anche le donne, è così ???'

Gennaro, punto sul vivo, tiene a evidenziare quest'ultimo concetto 'E nientedimeno prufessò.... je quanno veco nà femmena cù rispetto parlann, nun capisc 'cchiù nniente, me sento nà cosa int'o core, 'INT' E VVENE !!! cù ttutto ca tengo n'età, prufessò, e che i primi disturbidel tempo che avanza...'

'Perfetto. Come vede, mio caro, da una cosa banale come l'acquario io sono arrivato a farle confessare il suo amore per le donne".


ECCO LA POTENZA E L'IMPATTO VITALE DELLA LOGICA !!!


Gennaro è allibito. Ha compreso. O se non ha compreso è rimasto comunque rapito da tutto il discorso. Ringrazia e saluta calorosamente il caro professore. A tutta questa scena ha assistito, non visto, Giggino 'o macellaro, commerciante al dettaglio che ha il negozio di fronte. Curioso come Don Gennaro, rimane tuttavia un pò indeciso sul chiedere o meno, per non dare troppa soddisfazione all'amico. Tuttavia il giorno seguente, con la scusa di prendere il caffè, introduce il discorso... 'Gennà, nà domanda... ma jere ammatina t'agge vist parlà cù chillu tizi'è nù poco curiuse ca tutte 'e juorne..'

'Ah, m'haje vist, eh ???'

'Eh, si, t'agge vist.

Ma chille, chi è ???'

'Che vuoi che ti dica, Giggì... chill' è nù prufessore, nù prufessorone... pensa, insegna Filosofia e Logica...'

'A facci'o cazz !!! Gennà....!!!' esclama allibito. Giggino, poi, un poco perplesso, si rivolge all'amico e gli fa: 'siente nu poche Gennà... ma io la filosofia ne ho sentito parlare... Platone, Aristotele Marx... ma la logica, scuss, che è ???'

Gennaro lo guarda, con aria di sufficienza, e gli fa:- 'eh, Giggì a loggica... Tu che può capì ... tu 'o tiene n'acquario ???'

'veramente no'

'E allora SI' RICCHIONE !!!
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