sabato 6 febbraio 2010

Chaos Economy: Il debito pubblico e i PIGS


Un cordiale saluto a tutti i lettori del blog, sono Eugenio Benetazzo, operatore di Borsa indipendente e saggista economico, tenteremo di fare un quadro il più possibile esaustivo sullo scenario economico e macroeconomico che attende il nostro Paese. Conosciamo tutti quello che è accaduto negli ultimi 18 mesi con fenomenali interventi da parte degli Stati occidentali per supportare le loro economie, ormai a distanza di tempo possiamo renderci conto di come niente è cambiato, semplicemente sono stati spostati in avanti i problemi che sussistevano 12/18 mesi fa, nella fattispecie i debiti non si sono polverizzati, i debiti non sono stati coperti, sono stati semplicemente trasferiti dal sistema bancario o dai debiti che avevano determinati gruppi di aziende, al debito che ora sono stati caricati sulla testa delle relative comunità, quindi gli Stati.
Se facciamo una disamina per il nostro Paese, ci rendiamo conto che il debito pubblico italiano ormai ha raggiunto l’ammontare particolarmente gravoso di oltre 1.800 miliardi di euro che rapportati al Pil, a fronte anche della caduta che è avvenuta nel 2009, portano il debito in percentuale sul Pil oltre il 120%, questa comincia a diventare una variabile macroeconomica particolarmente preoccupante, perché se prendiamo in considerazione quello che è accaduto sempre in Europa, neanche un mese fa con il capo della Grecia che ha subito un downgrade del proprio debito pubblico cominciamo a paventare scenari tutt’altro che confortanti. La Grecia in sé ha una dimensione in Europa modesta, non può preoccupare il fatto che un Paese di quella dimensione possa andare in default, questo cambia però se cominciamo a affiancare i cosiddetti PIGS, i Paesi che hanno uno scenario macroeconomico simile alla Grecia, PIGS è un acronimo che sta per Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, che hanno subito un aumento consistente del proprio indebitamento, proprio per supportare la loro economia nell’ultimo anno.
Molto spesso sentiamo parlare di raffronti con il passato, specie con il caso Argentina che dista 10 anni dall’attuale presente, però comincia a avere analogie con il nostro scenario e possibili conseguenze negative per il nostro Paese, che per l’Europa stessa. Il debito argentino quando andò in default aveva un rapporto con il Pil del 138%, noi ormai siamo oltre il 120%, quindi cominciamo ad avvicinarci… Oltre alla problematica legata al debito argentino, non dimentichiamo le preoccupazioni legate allo scenario argentino, non del debito, ma della sudamericanizzazione di un determinato Stato,la sudamericanizzazione è un termine che concepisce un sostanziale diffuso, progressivo impoverimento della maggior parte della popolazione, con un arricchimento spaventoso di una piccolissima parte, ed è quello che lentamente a cui stiamo andando anche noi italiani, nel tempo, un sistematico aumento del ricorso all’indebitamento e dall’altra parte di un crollo vertiginoso della capacità di risparmio.
La domanda più importante che ci dobbiamo fare è, per certi versi ci emerge da un’analisi delle cronache finanziarie italiane come nei prossimi tre mesi verrà tamponato il deficit di circa 37 miliardi di Euro che manca all’appello, 37 miliardi di euro, una cifra abbastanza plausibile a fronte della diminuzione di fatturati industriali che si sono venuti a creare nei precedenti trimestri, fatturati industriali che a cascata hanno generato un crollo del gettito fiscale. Il gettito fiscale è incapace di coprire, in maniera consistente le spese per la gestione corrente del Paese, vi è di più, ci sono svariati analisti indipendenti che cominciano a paventare una possibilità di prelievo coatto stile 1991 con il Governo Amato in cui, se qualcuno si ricorda, venne prelevato il 6 per mille sulle giacenze bancarie a vista. Se contabilizziamo a quanto ammonta la massa di risparmio in mano agli italiani, sottoforma di attività finanziaria, arriviamo abbondantemente a un valore superiore a 2.500 miliardi di euro, andiamo a calcolare un 1%, un 2% e potremmo raggiungere i 40, 50 miliardi di euro che mancano all’appello, non sono parole mie, sono recenti esternazioni dell’attuale governo.
Il Paese dal punto di vista finanziario è oppresso da 82 miliardi di euro di interessi (annui, ndr), di oneri sul debito, un debito pregresso costituito di due parti: 2/3 a medio – lungo termine, 1/3 a breve termine, se andiamo a vedere chi detiene il debito,
ci rendiamo conto che il 50% del debito è in mano agli italiani, banche, fondi pensioni, fondi comuni di investimento etc., e il restante 50% agli investitori esteri. Questo fa presumere come difficilmente potrebbero verificarsi per il caso italiano, fenomeni di default finanziario perché se qualcuno volesse ricalcare l’Argentina, quest’ultima aveva una dinamica tutta sua, legata a una particolare detenzione in percentuale del debito pubblico, nella fattispecie il 90% del debito argentino era in mano a investitori esteri e questo consentì quella dichiarazione di default, proprio per evitare ripercussioni all’interno del Paese.

Quello che stiamo pagando adesso, in termini di diminuzione della produttività industriale, non è altro che l'effetto collaterale di scelte industriali assolutamente scellerate, in Italia quanto la destra, quanto la sinistra, passando per il centro, hanno abbracciato la scelta della progressiva deindustrializzazione, aiutando imprenditori e grandi industriali a chiudere gli stabilimenti d’Italia e aprirli altrove, fuori frontiera, o addirittura fuori Comunità Europea, consentendo il famoso "ponte commerciale" che conosciamo tutti che crea sperequazioni economiche, arricchendo i soggetti che riescono ad attuare questo tipo di trasformazioni, cosiddette industriali e chi invece le subisce. Non abbiamo avuto una forza politica per non chiamarla farsa politica, che si sia fatta portavoce della difesa di quelli che sono i reali punti di forza del nostro Paese, il Made in Italy, il turismo e i distretti industriali che rappresentano il vanto del nostro Paese ovunque in tutto il mondo. Vi è recentemente un fenomeno economico che rappresenta la capacità di altri Paesi di clonare, copiare sfruttando la consonanza vocale determinati prodotti tipici italiani, andandoli a ricreare dove non sono oggetto Doc o Dop, per esempio il formaggio Asiago fatto nello Stato del Wisconsin, oppure il Limonciello (con la i) realizzato in Cina. Se qualcuno pensa che nei prossimi anni potremo essere in grado di riprendere la competitività che caratterizzava 10 anni fa la maggior parte delle aziende italiane, sfruttando i benefici della svalutazione sul tasso di cambio, ahimè temo che siamo veramente molto distanti.
Nello specifico abbiamo un crollo della produttività industriale che ci porta oltre 20 anni indietro, sono posti di lavoro che non saranno mai più recuperabili, chi pensa di clonare il modello inglese puntando sui servizi o sul terziario avanzato, purtroppo non ha capito bene quello che è accaduto in Inghilterra, un Paese che ha ancora, più di 20 anni fa, scelto il modello cosiddetto tatcheriano volto alla svendita dei gangli vitali dello Stato, privatizzando all’inverosimile tutto e adesso a distanza di tempo l’Inghilterra piange quelle scelte politiche scellerate, continuano a parlarci che l’anno prossimo ci sarà una ripresa, se nel 2009 abbiamo perduto 6 punti percentuali di Pil e per il 2010 si ostenta una ripresa con un + 0,10, + 0,20% di Pil, più che una ripresa secondo me, questa è una grande presa per il culo!

Grazie a tutti, buon proseguimento e alla prossima!
Eugenio Benetazzo per il blog di Beppe Grillo

1 commento:

  1. Anonimo4:38 PM

    PIGS sta per Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. Si può essere contrari alla politica corrotta di questo paese ma questo non è un motivo per dire bugie sulla politica economica dei governi di entrambi gli schieramenti. Il debito italiano seppur cresciuto al 113 non 120 % del pil è considerato stabile. Tanto è vero che nell'articolo si è dovut inventare che I sta per Italia.

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