domenica 26 luglio 2009

Cinque giorni a Sanremo


Sono stato a Sanremo. Cinque giorni a Sanremo. Nel frattempo mio nipote in negozio al posto mio vendeva le Marlboro a 4,50 e le cartine per sigarette a 0,40. Meno male che noi vendiamo più Marlboro che cartine per sigarette. I cinque giorni a Sanremo li ho passati nella sala d’attesa di un famoso studio cinematografico. Entravo, chiedevo e aspettavo. Riuscivo a fumare quando la segretaria andava via. Mentre aspettavo, mi si proponevano spacciatori di eroina, agenti assicurativi, attricette di quart’ordine, ballerine di terzo (ordine), procacciatori di voti (siamo dentro le elezioni), chitarristi diciottenni aspiranti alle luci della ribalta, fiorai, naturalmente. Se fossi stato femmina mi avrebbero avvicinato numerosi protettori travestiti da impresari che mi avrebbero spinta in un locale di lap dance dietro l’inganno di una partecipazione al festival. Mi aspettavo di incontrare Milena, una ragazza dell’Ecuador che vive a Sanremo che ho conosciuto nelle Marche qualche anno fa, ma non l’ho vista. Anzi, se la incontrate voi una donna alta due metri che giocherella con un bottiglione di rosso tra due dita, allo stesso modo di come io mantengo la sigaretta in quella fotografia lì, quella sicuramente è Milena, per piacere salutatemela. Direte voi, forse: che cazzo sei andato a fare a Sanremo? Direte voi, certamente: a noi che ce ne fotte? Il fatto è che al quinto giorno di anticamera, quando ormai mio nipote vendeva i pacchetti di sale iodurato al posto delle scatole di pastelli, quando ormai pure la segretaria aveva preso il vizio del fumo dietro mia insistenza, è uscita lei finalmente dal suo ufficio privato, mi ha sorriso, avvolta in un vestito nero che le lasciava le spalle scoperte, ha buttato la testa all’indietro come è solito fare nelle sue migliori interpretazioni. Mi ha sorriso, mi ha firmato un autografo. Chi è lei? E’ Mariacristina Brettone, attrice di teatro, poetessa. Ha una cultura che vi fa impallidire, le sue poesie potranno sconvolgervi, destabilizzarvi, arricchirvi o spingere la vostra mente verso inattesi e inimmaginabili orizzonti. L’effetto che fanno a me le sue poesie è quello stesso effetto che capita a quello sballato disegnato da Andrea Pazienza che si trova di fronte a un muro con una macchia viola, che resta tutta la notte a fissare quel muro con la macchia viola, e che la mattina dopo guarda la macchia viola e dice “cazzo, è proprio viola, io l’avevo detto che era viola”. Per lo più è una donna paziente e gentile. Anzi, è una donna gentile e paziente. Penso a L’angelo azzurro, di Joseph Van Sternberg: a Eric Jennings, che si innamora perdutamente di Marlene Dietrich. Penso che era giusto così. Sono contento.


Sabato Cuomo

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